Convegno SISD 2019 - Verona
Fine della tradizione? Coscienza storica e identità del giurista.
L'idea di tradizione, nell'attuale panorama degli studi giuridici, non appare più un paradigma incontroverso. In consonanza con un sentire diffuso e un “regime di storicità” che sembra sempre più schiacciato sul solo presente, i giuristi tendono ad avvertire spesso come un fardello, anziché una risorsa, il radicarsi del loro campo di lavoro – disposizioni normative, linguaggio, metodi – in una vicenda di millenni. Ed è proprio il rapporto con quanto è alle proprie spalle a venire oggi percepito in modo diverso: svuotato di senso, sterilizzato in una consapevolezza solo di facciata, che ben poco ha da dire a chi è chiamato a gestire le grandi sfide poste al diritto dall'attualità – coi suoi orizzonti globalizzati, la turbinosa evoluzione tecnologica, le inedite versioni assunte dal potere e dagli assetti economici, la configurazione stessa dell'umano.
Per un lungo corso di secoli riconoscersi in una tradizione – catena ininterrotta di generazioni, col loro sapere e bagaglio di esperienze, quasi all'insegna di un pensiero “impersonale” – è stato invece (anche) per il giurista un punto di partenza e di forza, per quanto declinato secondo percezioni assai diversificate, dalla più spiccata aderenza al portato di quella vicenda sino all'aperta contestazione e al proposito di radicali rotture. Ma anche l'attrito e il distacco possono intervenire solo dinanzi a qualcosa che è avvertito come ben presente, incisivo, incalzante. L'identità del giurista, dalla Roma repubblicana a pochi decenni or sono, si è nutrita di questa peculiare espressione di una più generale attitudine, che possiamo denominare coscienza storica. Non solo sensibilità al divenire e consapevolezza del mutare del diritto – quale forma storicamente data del potere – ma, più in particolare, percezione del proprio situarsi, come esperto di quella disciplina, all'interno di un flusso di idee, dottrine, tecniche di lavoro.
Il convegno della “Società Italiana di Storia del Diritto” intende proporre una serie di sondaggi attorno a questo tema di fondo. Con riferimento, in primo luogo, a diverse e significative stagioni ove è dato cogliere manifestazioni difformi di tale sensibilità: da origini e implicazioni del “tradizionalismo” giurisprudenziale romano alle modalità dei dibattiti fra prudentes; dall'atteggiamento giustinianeo al rapporto che intercorre fra Corpus iuris e interpreti medievali, dalla filologia degli umanisti alle aspirazioni di giusrazionalismo e illuminismo, sino allo scenario che si apre all'indomani delle codificazioni. Ma anche con riguardo a una ricca gamma di specifiche questioni che si connettono a quel tema: dalle interazioni fra sapere giuridico e potere politico alle differenti vesti assunte nel tempo dall'assetto giurisprudenziale, dall'individualità o coralità dell'apporto scientifico alle varie immagini inerenti alla relazione fra passato e presente, con l'eventuale influenza che vi ha esercitato la nozione di progresso.
Fine della tradizione? Coscienza storica e identità del giurista.
L'idea di tradizione, nell'attuale panorama degli studi giuridici, non appare più un paradigma incontroverso. In consonanza con un sentire diffuso e un “regime di storicità” che sembra sempre più schiacciato sul solo presente, i giuristi tendono ad avvertire spesso come un fardello, anziché una risorsa, il radicarsi del loro campo di lavoro – disposizioni normative, linguaggio, metodi – in una vicenda di millenni. Ed è proprio il rapporto con quanto è alle proprie spalle a venire oggi percepito in modo diverso: svuotato di senso, sterilizzato in una consapevolezza solo di facciata, che ben poco ha da dire a chi è chiamato a gestire le grandi sfide poste al diritto dall'attualità – coi suoi orizzonti globalizzati, la turbinosa evoluzione tecnologica, le inedite versioni assunte dal potere e dagli assetti economici, la configurazione stessa dell'umano.
Per un lungo corso di secoli riconoscersi in una tradizione – catena ininterrotta di generazioni, col loro sapere e bagaglio di esperienze, quasi all'insegna di un pensiero “impersonale” – è stato invece (anche) per il giurista un punto di partenza e di forza, per quanto declinato secondo percezioni assai diversificate, dalla più spiccata aderenza al portato di quella vicenda sino all'aperta contestazione e al proposito di radicali rotture. Ma anche l'attrito e il distacco possono intervenire solo dinanzi a qualcosa che è avvertito come ben presente, incisivo, incalzante. L'identità del giurista, dalla Roma repubblicana a pochi decenni or sono, si è nutrita di questa peculiare espressione di una più generale attitudine, che possiamo denominare coscienza storica. Non solo sensibilità al divenire e consapevolezza del mutare del diritto – quale forma storicamente data del potere – ma, più in particolare, percezione del proprio situarsi, come esperto di quella disciplina, all'interno di un flusso di idee, dottrine, tecniche di lavoro.
Il convegno della “Società Italiana di Storia del Diritto” intende proporre una serie di sondaggi attorno a questo tema di fondo. Con riferimento, in primo luogo, a diverse e significative stagioni ove è dato cogliere manifestazioni difformi di tale sensibilità: da origini e implicazioni del “tradizionalismo” giurisprudenziale romano alle modalità dei dibattiti fra prudentes; dall'atteggiamento giustinianeo al rapporto che intercorre fra Corpus iuris e interpreti medievali, dalla filologia degli umanisti alle aspirazioni di giusrazionalismo e illuminismo, sino allo scenario che si apre all'indomani delle codificazioni. Ma anche con riguardo a una ricca gamma di specifiche questioni che si connettono a quel tema: dalle interazioni fra sapere giuridico e potere politico alle differenti vesti assunte nel tempo dall'assetto giurisprudenziale, dall'individualità o coralità dell'apporto scientifico alle varie immagini inerenti alla relazione fra passato e presente, con l'eventuale influenza che vi ha esercitato la nozione di progresso.