Il Consiglio Direttivo della Società Italiana di Storia del Diritto apprende con vivo stupore che l’Anvur ha proposto di espungere una cospicua serie di periodici dalla lista delle riviste scientifiche.
Suonano inaccettabili, anzitutto, le motivazioni addotte per le singole esclusioni e sintetizzate in una scarna legenda introduttiva. Se le motivazioni generali risultano, a dir poco, discutibili (non si vede, ad esempio, perché il mancato rispetto della periodicità comporti addirittura la negazione della ‘patente’ di scientificità ai testi pubblicati), sconcerta, tra le motivazioni specifiche, la «mancata diffusione nella comunità scientifica di riferimento, e quindi [la] mancata pertinenza all’area»: espressione che, nel criptico burocratese, sembrerebbe presupporre una indimostrata consequenzialità tra carenza di circolazione (parametro la cui verifica è del tutto opinabile) e non inerenza del periodico alle discipline dell’area.
Con riguardo all’elenco concernente l’area 12, è proprio quest’ultima «mancanza» [B 6] la contestazione mossa alla larga maggioranza delle riviste che si vorrebbe declassificare. Ebbene, una scòrsa anche superficiale alla ‘lista di proscrizione’ evidenzia un rischio paradossale: quello di mortificare i non pochi cultori della scienza giuridica tuttora in grado di permeare i (e di farsi contaminare dai) saperi piú disparati in un’ottica rigorosamente interdisciplinare; gli studiosi che riescono ad accedere a sedi editoriali internazionali esclusive o notoriamente selettive; che prediligono circuiti al momento marginali o solo all’apparenza ‘provinciali’ (in realtà espressione d’una straordinaria ricchezza di tradizioni ‘patrie’ e di un vivacissimo municipalismo forense); che scelgono, in base ad insindacabili strategie culturali, di dialogare con il mondo dell’economia e delle professioni; che sperimentano prospettive metodologiche o tematiche non conformistiche.
Non minori perplessità suscitano gli altri parametri individuati dall’Anvur, in plateale violazione di ogni canone di irretroattività e in ossequio a modelli freneticamente cangianti.
La serietà che sempre dovrebbe ispirare le politiche di valutazione della ricerca impone di respingere con fermezza, anche in sintonia con l’orientamento ormai prevalente nella comunità scientifica internazionale, la sistematica pretesa di scambiare il valore del contenitore (la rivista ospitante) con quello del contenuto (il ‘prodotto’ pubblicato): sarebbe, invero, sin troppo agevole dimostrare come la storia del diritto degli ultimi due secoli si sia giovata in misura decisiva del coraggio di imprese editoriali innovative e non assimilabili al pensiero dominante; è altamente probabile che analoghe dinamiche abbiano caratterizzato tutta la scienza moderna.
In attesa di uscire da questo increscioso equivoco, la Società italiana di storia del diritto
chiede
l’immediato ritiro della lista di riviste diffusa nei giorni scorsi;
ritiene
inopportuno e svilente sollecitare i direttori e i responsabili delle riviste interessate a proporre contro-deduzioni che configurerebbero un’ingiustificata inversione dell’onere della prova;
si ripromette
di impegnarsi nell’ampliare il consenso alle altre società scientifiche, anche esterne all’area 12, per iniziative di contrasto a simili azioni, nonché di cercare di assicurarsi l’auspicabile appoggio dei vertici istituzionali (Crui, Cun, Casag) e l’attenzione dei media, al fine di predisporre una risposta corale, ossia proveniente non solo dai comitati direttivi, scientifici o di redazione, bensí dall’intera comunità degli studiosi;
si riserva
di intraprendere, di concerto con gli attori appena enunciati, le opportune azioni giudiziarie a tutela della libertà di ricerca costituzionalmente garantita.
Bari, 11 agosto 2017 IL DIRETTIVO DELLA SISD
[ documento ]
Suonano inaccettabili, anzitutto, le motivazioni addotte per le singole esclusioni e sintetizzate in una scarna legenda introduttiva. Se le motivazioni generali risultano, a dir poco, discutibili (non si vede, ad esempio, perché il mancato rispetto della periodicità comporti addirittura la negazione della ‘patente’ di scientificità ai testi pubblicati), sconcerta, tra le motivazioni specifiche, la «mancata diffusione nella comunità scientifica di riferimento, e quindi [la] mancata pertinenza all’area»: espressione che, nel criptico burocratese, sembrerebbe presupporre una indimostrata consequenzialità tra carenza di circolazione (parametro la cui verifica è del tutto opinabile) e non inerenza del periodico alle discipline dell’area.
Con riguardo all’elenco concernente l’area 12, è proprio quest’ultima «mancanza» [B 6] la contestazione mossa alla larga maggioranza delle riviste che si vorrebbe declassificare. Ebbene, una scòrsa anche superficiale alla ‘lista di proscrizione’ evidenzia un rischio paradossale: quello di mortificare i non pochi cultori della scienza giuridica tuttora in grado di permeare i (e di farsi contaminare dai) saperi piú disparati in un’ottica rigorosamente interdisciplinare; gli studiosi che riescono ad accedere a sedi editoriali internazionali esclusive o notoriamente selettive; che prediligono circuiti al momento marginali o solo all’apparenza ‘provinciali’ (in realtà espressione d’una straordinaria ricchezza di tradizioni ‘patrie’ e di un vivacissimo municipalismo forense); che scelgono, in base ad insindacabili strategie culturali, di dialogare con il mondo dell’economia e delle professioni; che sperimentano prospettive metodologiche o tematiche non conformistiche.
Non minori perplessità suscitano gli altri parametri individuati dall’Anvur, in plateale violazione di ogni canone di irretroattività e in ossequio a modelli freneticamente cangianti.
La serietà che sempre dovrebbe ispirare le politiche di valutazione della ricerca impone di respingere con fermezza, anche in sintonia con l’orientamento ormai prevalente nella comunità scientifica internazionale, la sistematica pretesa di scambiare il valore del contenitore (la rivista ospitante) con quello del contenuto (il ‘prodotto’ pubblicato): sarebbe, invero, sin troppo agevole dimostrare come la storia del diritto degli ultimi due secoli si sia giovata in misura decisiva del coraggio di imprese editoriali innovative e non assimilabili al pensiero dominante; è altamente probabile che analoghe dinamiche abbiano caratterizzato tutta la scienza moderna.
In attesa di uscire da questo increscioso equivoco, la Società italiana di storia del diritto
chiede
l’immediato ritiro della lista di riviste diffusa nei giorni scorsi;
ritiene
inopportuno e svilente sollecitare i direttori e i responsabili delle riviste interessate a proporre contro-deduzioni che configurerebbero un’ingiustificata inversione dell’onere della prova;
si ripromette
di impegnarsi nell’ampliare il consenso alle altre società scientifiche, anche esterne all’area 12, per iniziative di contrasto a simili azioni, nonché di cercare di assicurarsi l’auspicabile appoggio dei vertici istituzionali (Crui, Cun, Casag) e l’attenzione dei media, al fine di predisporre una risposta corale, ossia proveniente non solo dai comitati direttivi, scientifici o di redazione, bensí dall’intera comunità degli studiosi;
si riserva
di intraprendere, di concerto con gli attori appena enunciati, le opportune azioni giudiziarie a tutela della libertà di ricerca costituzionalmente garantita.
Bari, 11 agosto 2017 IL DIRETTIVO DELLA SISD
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